TAKE PART, SAVE ART: IL PRIMO E-COMMERCE DEDICATO AL RESTAURO DI BENI CULTURALI IN ITALIA

“Amore, per il nostro anniversario ti regalo il restauro del balcone di Giulietta”. L’antico palazzo dei Capuleti non è ancora in catalogo, ma altre opere più o meno celebri sono pronte per essere salvate dall’incuria. Basta un click, qualche euro e in cambio si riceve persino un regalo. Così l’antica pratica del mecenatismo – un tempo prerogativa di nobili e re – diventa pop. A partire dal nome pArt e dal suo motto – ‘Take part, save art’, partecipa, salva l’arte – che è un invito, ma anche un imperativo a fare qualcosa per prendersi cura dell’immenso patrimonio artistico del nostro Paese che versa in uno stato di abbandono.
È il primo e-commerce dedicato al restauro di beni culturali in Italia. Non si vende nulla, ma si acquista la possibilità di dare nuova vita a un affresco, a una scultura e persino ai più moderni capolavori della street art.
L’idea, spiega Maddalena Salerno, 32 anni, fondatrice e manager nel campo della Comunicazione, è nata visitando chiese e musei. “In Italia il mecenatismo ha una lunga tradizione, oggi però questa pratica si è un po’ persa. Eppure c’è molto da fare: le opere sono sempre più a rischio anche a causa di terremoti e danni atmosferici. Ma mancano i fondi. Tutto ciò mi ha fatto pensare che si dovesse fare qualcosa per riattivare questo sistema, utilizzando la tecnologia”.

Così è nato il sito, pensato sul modello di Yoox: c’è un catalogo di opere tra cui scegliere, suddivise per prezzo, autore e periodo storico. Ciascuna con una scheda che racconta non solo la sua storia, ma anche lo stato di conservazione e la tipologia di intervento necessaria. Nel carrello si aggiunge l’opera che si sceglie di sostenere, tramite un finanziamento diretto oppure partecipando a un crowdfunding, a seconda di quanto si è disposti a spendere. Per “Il sogno di Giuseppe”, ad esempio, che si trova nel museo di Santa Maria in Cappella, a Roma, servono 9.200 euro per la pulitura della superficie del dipinto, la foderatura della tela e il restauro delle cornice. Durata dell’intervento: due mesi.
In cambio, i mecenati non ricevono solo la gloria di essere ricordati con il proprio nome sulla targhetta accanto all’opera, ma anche esperienze culturali e gadget. Visite guidate se, ad esempio, l’opera da restaurare si trova all’interno di un museo. Se, invece, il dipinto si trova in una prestigiosa location, come la Galleria Doria Pamphilj, a Roma, si potrà ottenere l’utilizzo di una sala per un evento. O ancora, stampe, foulard dipinti a mano, spille e altri pezzi unici realizzati da artisti contemporanei.
L’idea dei fondatori è quella di puntare al grande pubblico, non ai ricchi. Così, se non si hanno abbastanza soldi per un Caravaggio, si può partecipare al restauro della cornice che contiene il dipinto o all’illuminazione della cappella dove è conservato. Per ora il catalogo conta una decina di opere, tra cui spiccano una stele funeraria di Antonio Canova, un micromosaico di Francesco Borromini e il crocifisso bronzeo di Alessandro Algardi. Ma anche gli affreschi di un anonimo conservati nella cattedrale di Anagni. Non solo opere di artisti conosciuti quindi, ma anche beni minori, di cui prendersi cura magari all’interno della propria comunità, con una missione: salvarli dall’abbandono. Tutti – cittadini, turisti, scuole, parroci, direttori di musei -, sul sito, possono segnalare un’opera che necessita di intervento. Oppure possono farlo sui social, con l’hashtag #takepartsaveart.

Anche i restauratori e le aziende specializzate possono proporre progetti da finanziare: a valutarli c’è un comitato scientifico. Una volta raccolta la somma necessaria, iniziano i lavori.
Un sistema che, nelle intenzioni dei fondatori, promette di semplificare l’avvio di restauri sotto i 40mila euro e che, quindi, non richiedono l’assegnazione tramite bando. E tutto rispettando tempi e costi stabiliti, assicurano. Si tratta di interventi che interessano sia beni pubblici – spesso affossati dalla burocrazia o poco appetibili per le grandi aziende – che privati, purché fruibili. E anche quelli ecclesiastici.
“Vogliamo creare una rete virtuosa tra i custodi di questo immenso patrimonio artistico: curatori, storici dell’arte, direttori di musei e il grande pubblico”, dice Lelio Orsini, 38 anni, uno dei fondatori. L’intento, spiega l’imprenditore, è anche quello di “creare opportunità di lavoro” in un settore, quello del restauro, “che tutto il mondo ci riconosce come un’eccellenza”. Perché pArt non è un’associazione, ma una società a tutti gli effetti. Per scelta, spiegano i fondatori, che sono convinti che per aiutare a promuovere la salvaguardia dei beni culturali ci sia bisogno di un team di professionisti e non solo di volontari.
Il sito è online da una decina di giorni e sono già arrivate le prime donazioni. I mecenati presto potranno seguire i lavori anche in diretta live: una telecamera, posizionata nel museo dove è in corso l’intervento, registrerà il restauro in corso d’opera.

